Era una mattina gelida, di quelle che ti costringono a rannicchiarti sotto le coperte, finché un raggio di sole impertinente non osa disturbare il tuo torpore.
Fissai le pareti della mia stanza, dove un mare di ricordi si dispiegava in un mosaico di fotografie incorniciate.
Chissà quante ne erano, un centinaio, forse di più, ormai avevo perso il conto. Ognuna racchiudeva un frammento della mia esistenza, imprigionato in una cornice di legno, ottone o argento, bianca, nera o blu, ognuna diversa dalle altre, come un gioiello unico.
Ogni singola fotografia era un ricordo, o almeno così avevo cercato di renderla: un momento, un’immagine del presente cristallizzata in un istante divenuto passato. Non saprei come definirla, forse un’ossessione, ma sentivo la necessità di farlo, di immortalare le persone, di mantenere vivo il loro ricordo, affinché in futuro qualcuno potesse vederle e conoscere ciò che erano state. Ma non era altro che un’illusione.