Ci sono giornate che partono male fin dall’inizio. Si riconoscono subito: niente sembra andare nel verso giusto ma poi, se riesce a limitare i danni, per fortuna dopo un po’ diventano quasi accettabili.
Altre invece peggiorano sempre di più, in una spirale discendente della quale non si vede l’uscita.
È ambientata in uno di questi giorni la vicenda che va in scena oggi: una folle, tragica ballata in cui niente pare avere senso e che Paolo Di Orazio ci serve su un vassoio di argento incrostato di materia ematica.
‘Non si udiva un rumore, il traffico era un fermo immagine da cartolina e le poche persone in strada camminavano lontane da lui, attente a non far suonare troppo le scarpe sul selciato. La città si muoveva come un esercizio surrealista di evacuazione atomica: palazzi, banche, negozi, finestre battuti da un lucore bianco di solitudine totale, architettura di beatitudine malata, urbanizzazione del vuoto gotico, pittura metafisica di un obliquo martedì 20 giugno.’